Lettera aperta: immigrati irregolari e clandestini e diritto all’assistenza sanitaria.
In questi giorni ci giungono diversi quesiti sulle nuove norme sulla sicurezza e diritti
sanitari e segnalazioni circa la difficoltà di accesso all’assistenza sanitaria da parte degli
immigrati irregolari e clandestini. La Società Italiana di Medicina delle Migrazioni è
un network scientifico che dal 1990 si occupa dei temi legati all’assistenza sanitaria ed
alla salute degli immigrati presenti in Italia e che collega molte delle realtà del privato
sociale, del volontariato e del pubblico che si interessano di tale problematica
(attualmente circa 620 soci e 7 coordinamenti territoriali ed oltre un centinaio di strutture
di riferimento pubbliche e del volontariato laico e confessionale), ed in base a questa
vasta esperienza vogliamo precisare alcune cose e fare delle considerazioni nel merito.
L’Italia nei riguardi della popolazione immigrata ha una normativa sanitaria
particolarmente illuminata, coerente con il mandato costituzionale (art. 32) e con un
sistema sanitario di tipo universalistico ed equo (almeno sulla carta ma spesso anche
nella prassi). Dal 1998, con il Testo Unico sull’immigrazione (D.L.ivo 286/98) si è stabilita
la possibilità di accesso ai servizi sanitari in una ottica estremamente inclusiva: quasi la
totalità (94%) degli stranieri con regolare permesso di soggiorno hanno il
diritto/dovere di iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale (a parità di condizioni con i
cittadini italiani) ed una parte ne ha facoltà attraverso una iscrizione volontaria (4%).
Coloro che ne sono esclusi (turisti, uomini d’affari con soggiorni brevi, ...) devono avere
una assicurazione sanitaria privata, avendo comunque sempre garantiti gli interventi
d’urgenza.
Anche gli immigrati irregolari e clandestini hanno il diritto ad essere assistiti e non
solo per l’urgenza ma anche per le cure essenziali (cioè quelle non gravi nell’immediato
ma che se trascurate possono portare a situazioni critiche direttamente ed
indirettamente), per interventi di prevenzione e di continuità assistenziale (in particolare
per donne, bambini e per coloro con malattie infettive), attraverso il codice STP
(Straniero Temporaneamente Presente). “L’accesso alle strutture sanitarie (sia
ospedaliere, sia territoriali) da parte dello straniero non in regola con le norme sul
soggiorno non può comportare alcun tipo di segnalazione all'autorità, salvo i casi
in cui sia obbligatorio il referto, a parità di condizioni con il cittadino italiano”
(comma 5, art. 35 D.L.ivo 286/98). Quest’ultima norma, tuttora pienamente in vigore,
è presente nell’ordinamento italiano già dal 1995, attraverso un decreto legge (D.L.
489/95, art.13 più volte reiterato) voluto ed approvato dal centro destra anche con i voti
della Lega. E questo perchè la “logica” della norma non è solo quella di “aiutare/curare
l’immigrato irregolare” (per altro deontologicamente assolutamente corretta!) ma in
particolare di tutelare la collettività: prevedere la denuncia contestuale alla prestazione
sanitaria, creerebbe una barriera insormontabile per l’accesso e spingerebbe ad una
“clandestinità sanitaria” pericolosa per l’individuo ma anche per la popolazione laddove
possano esserci malattie trasmissibili.
Ormai esiste una significativa documentazione sul tema compresa la posizione degli ordini
dei medici italiani, di alcune società scientifiche e dei ministri della sanità europei ... che
sottolineano l’indispensabilità di questa impostazione per garantire concretamente la
salute per tutti (è assolutamente intuitivo come il batterio, il virus o il parassita non faccia
distinzione di etnia, status giuridico o colore della pelle).
Vogliamo sottolineare come questo clima di enfasi della “sicurezza” e criminalizzazione
degli immigrati stia producendo danni per la salute degli immigrati stessi (tutte le
strutture in Italia che si occupano di assistenza sanitaria ad immigrati irregolari
denunciano una riduzione preoccupante degli accessi e non perchè siano diminuiti tali
stranieri ma per il clima di sospetto e paura creatosi con ripercussioni gravissime anche
sulla collettività: pensiamo alle badanti che non vengono a farsi curare o immigrati che
vanno a lavorare in condizioni precarie di salute, o che vivono in condizioni di promiscuità
con altri immigrati in regola o con italiani in condizione di fragilità sociale...). Per tali
ragioni, potremmo dire che il “pacchetto sicurezza”, pur non contenendo condizioni
ostative all’accesso ai servizi sanitari, per come è stato previsto, percepito e presentato,
di per sè è “patogeno” (causa di malattia/patologia) per gli immigrati e per la collettività.
Il Consiglio di Presidenza della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni